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Concorso Laghese di Narrativa e Poesia "Racconti diVersi"
XX Edizione

Ultimo aggiornamento: 17 Dicembre 2018
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Andamento del concorso:

Resi noti i risultati.

Risultati

Sezione Narrativa.

1° Classificato: Andrea Zarroli, di Livorno, con “La musica di Yuliya”.

2° Classificato: Katia Marchesi, di Brescia, con “Ti voglio bene anch’io”.

3° Classificato: Massimo Cerina, di Latina, con “La gente del delta”.

Opere segnalate:
Sara Galeotti, di Roma, con “Cento Cartoni”
Rita Mazzon, di Padova, con “Il mio sogno”.

Sezione Poesia.

1° Classificato: Roberto Velardita, di Venezia, con “Il mondo nuovo”.

2° Classificato: Fulvia Lot, di Refrontolo (TV), con “Auschwitz-Birkenau”.

3° Classificato: Giorgio Franceschelli, di Castenaso (BO), con “Amore a Distanza”.

Opere vincitrici

1° classificato Narrativa- La musica di Yuliya

Sul treno per Kiev c’erano panche di legno e odore di chiuso. Un bambino rom entrò nel vagone con le mani in tasca. Portava i pantaloni grigi di una tuta e scarpe da ginnastica a strappo, come portano i bambini.
Aveva un cappello rosso, e sotto di esso un bel viso di occhi marroni e profondi, quando attraversò il vagone da un capo all’altro e poi, tornando indietro, si fermava accanto alle persone e con immediata confidenza chiedeva loro qualche spicciolo d’elemosina.
Quando il treno si fermò a Svietóscino* anche lui, come quasi tutti gli altri passeggeri, scese sul marciapiede di fianco al binario.
Si fermò quasi subito, all’inizio del mercato, da una vecchia che vendeva salsicce fumanti. Ne prese una, con ketchup e due linee di maionese ai lati della salsiccia che spuntava dal lievito fritto, e cercò in tasca gli spiccioli per pagarla: la prima corsa in treno di quella mattina gli aveva fruttato la colazione.
Pagò e ringraziò con un cenno del capo, come un adulto. Si guardò intorno e sparì nel flusso di gente che infilava il sottopassaggio.
Là sotto proseguiva il mercato, con le donne giunte dalla campagna che avevano già indossato le lunghe collane di porcini secchi e di cipolle, avevano aperto i sacchi di pere e albicocche essiccate e avevano esposto i loro canestri ricolmi di mele rosse, le uova, i barattoli di smetàna*, le conserve di cetrioli e di pomodori e i conigli, spellati e sventrati, che macchiavano di rosso il panno sul quale erano stati deposti.
C’era un uomo vestito di nero, dall’aria austera e la barba candida e lunghissima, che vendeva calendari illustrati con foto scattate fra le chiese di Kiev, una giovane donna seduta davanti a due sacchi pieni di semi di girasole e noccioline tostate, un ragazzo dietro un banchetto di giornali e una ragazzina con in mano una scatola di cartone dalla quale si affacciavano curiosi due micini; una donna proponeva ai passanti i suoi dolci di pasta fritta – caldi e fragranti, assicurava –, e vicino a lei un cane randagio dormiva acciambellato contro il muro.
Intorno ai venditori tutto era movimento, un succedersi incessante di persone che dai paesi circostanti affluivano nella grande città per seguire là i propri interessi: un susseguirsi di stati d’animo, speranze e propositi che scorrevano e s’intrecciavano in gorghi irrequieti come l’acqua di un fiume sotterraneo.

Svietóscino* stazione ferroviaria di Kiev
smetàna* sorta di latte denso e acido
In quel momento salì il fracasso del metró che sbucava dalla galleria e copriva col suo trambusto ogni altro suono. Si fermò con la fredda precisione di un serpente metallico e le porte dei vagoni si aprirono.
C’erano tre file di luci tonde a illuminare l’interno del vagone dove il bambino rom era salito. Alla fermata successiva entrarono due ragazzi, con una fisarmonica e una chitarra, e iniziarono a suonare.
Quello con la chitarra era alto e magro. Aveva lunghi capelli lisci e il viso segnato dall’acne, larghi occhi dalle ciglia lunghe come occhi di ragazza. Indossava un paltò e una sciarpa verde intorno al collo, mentre con le dita chiare, sottili, cercava tra le corde della chitarra note che si accordassero alla struggente melodia che il suo compagno, più basso, coi corti capelli biondi e sereni occhi azzurri, traeva senza sforzo dalla sua fisarmonica.
Suonavano dov’era già difficile stare in piedi, mantenendosi in equilibrio tra le oscillazioni del vagone che sfrecciava rumorosamente nell’oscurità della ferrovia sotterranea. Suonavano passando tra le persone, riuscendo a far emergere la musica dal frastuono che li attorniava come un delfino che affiorasse tra i flutti di un mare in tempesta, e nella loro musica, attraverso il caos, si diffondeva
il doloroso frusciare di un albero che narrava al vento la storia di una fanciulla innamorata di un uomo che ogni giorno percorreva la foresta a cavallo, e che una volta la prese con sé in sella, baciandola e sussurrandole all’orecchio dolci promesse, ma solo per un pezzo, dopodiché la fece scendere e la lasciò indietro dove lei, per resistere alla pena, si radicò alla terra, indurì il proprio cuore, mutò le lacrime in gocce di resina e divenne albero.
Narravano il suo dolore, i due ragazzi in piedi nel vagone, ed era una musica femminile e malinconica, espressione di un talento che sfiorava con grazia i tasti di una fisarmonica e solo per amicizia chiedeva la collaborazione di una chitarra; un talento puro dagli occhi azzurri, che barcollava liberando in punta di dita la sua arte con l’eleganza di chi avrebbe riscosso il plauso della platea di un esigente teatro, e che ora, tra una fermata e l’altra della metropolitana, distribuiva a chiunque armoniosa bellezza curandosi solo di restare in equilibrio tra i sobbalzi del vagone per piegare la musica all’attesa, all’amore e al dolore. Per dipingere immagini usando note al posto della matita e dei colori, in cambio di pochi spiccioli. Per guadagnarsi da vivere tra la gente del metró.
Appoggiata alla porta del vagone, con occhi stanchi Yuliya scorreva le righe di un testo d’esame.
Quando i suonatori le passarono accanto, la ragazza cercò di seguire la musica. Sentì l’entità della propria stanchezza nell’attimo in cui a occhi chiusi cercò di evadere, seguendo l’armonia e la dolcezza al di là della borsa pesante e della mente offuscata dal sonno; al di là degli esami, del lavoro, dei troppi impegni e della quotidiana fatica di esistere.
Per un attimo si sentì leggera come se stesse volteggiando tra le braccia di un cavaliere invisibile. Come se nulla di male potesse raggiungerla. Lentamente la borsa le scivolò dalla spalla giù fino a terra. Con la testa poggiata al vetro, la ragazza sorrise. Mentre intorno a lei e dentro di lei la musica lottava per non essere sopraffatta dal frastuono del metrò.
Quel sorriso non sfuggì al bambino rom, che la stava osservando.
Pensava che un giorno anche lui avrebbe avuto una ragazza così bella, e che insieme avrebbero preso un treno che portava lontano fino alle sabbie dorate del Mar Nero. Quell’idea lo rese felice. Si frugò in tasca e lasciò l’ultima moneta elemosinata nel cappello che il giovane con la chitarra tendeva ai passeggeri per raccoglierne le offerte.
Poi il metró si fermò e il bambino scese. Corse, s’inerpicò sulla scala mobile, spalancò le porte della stazione e uscì nel sole. Uscì nella luce abbacinante del mattino, e in quella luminosità dorata, tutt’intorno a lui sorgeva Kiev. ********************************************************

2° classificato Narrativa – Ti voglio bene anch’io

Lo stomaco si comprime. Le mani sono bagnate. Ho le vertigini.
Questa volta glielo dico, questa volta non mi fermo. Non dribblo. Non fingo.
Consapevolezza e determinazione!

Ho studiato tutto, l’ho rivisto e l’ho corretto. Questa volta arrivo sino a dove non sono mai arrivata!

…e se poi sviene? se si mette a piangere? se peggio ha un infarto? Lesbica e assassina!
Chissà se c’è una cella riservata alle lesbiche!

No! questa sera affronto le sue paure! Le mie!!!

mmhh Forse glielo dico dopo le feste di natale; certo, siamo a giugno, comunque è sempre meglio prendersi un po’ di tempo…

NO! ho deciso!, questa volta non fuggo, non scappo. Questa volta resto. Lo devo a te che mi hai cresciuta, lo devo a me per quel che provo.

Quante domande a cui non ho risposto. Quante liti. Quante incomprensioni. Le tue urla i miei silenzi. Le tue paure i miei pianti. Non volevo coinvolgerti. Non volevo farti male. Non ti avrei mai ferita.

Tante volte avrei voluto gridare: sono solo innamorata!!!

Le parole però non uscivano dalla bocca. Si mescolavano alle lacrime, restavano in gola e bruciavano.

Si chiama Giulia vorrei dirti. E’ bellissima.
Ogni volta che la guardo mi innamoro, e se siamo lontane la sogno.
Siamo fidanzate da quasi 3 anni. Vive a Venezia. Si sta laureando in giurisprudenza.

Ti piacerebbe. Un po’ ti somiglia. Ha il tuo modo sbrigativo di affrontare la vita: senza perder tempo. L’Affronta a testa alta, si batte da sempre per quello in cui crede. Se c’è un’ingiustizia lei è là a sostenere chi non ha voce. I suoi ne sono orgogliosi, anche se ammettono che è troppo testarda.

E tu sei orgogliosa di me? Non ricordo che tu me l’abbia mai detto. Ogni buon voto era obbligato, ogni traguardo raggiunto, dovuto. Il minimo che potessi fare per una madre che da sola cresceva i suoi figli. Una madre che ci ha sempre ricordato che nessuno ti regala niente, e che i problemi si affrontano con coraggio.

A volte penso di aver passato la prima parte della vita a cercar di nascondermi. Essere invisibile al mondo ma soprattutto a te. La tua storia ingombrante la indossavo come un cappello. Non lo levavo mai. Mi schiacciava.

E io ti ho mai detto quanto sono orgogliosa di te? Forse no. In casa nostra certe “americanate” non si fanno. Certe frasi non si dicono.

Ho ancora mezz’ora per ritirarmi, fingere un malore, scappare in Canada.
Forse potrei inventare una scusa, sono brava in questo. Se penso a tutti i fine settimana passati a studiare/consolare amici / far campi lavoro per crediti universitari… e invece era Venezia, era Giulia, era Amore!

E’ ora! Non posso rimandare. È viscerale orami.

E’ una tranquilla sera estiva. Nessun temporale, nessun acquazzone, neppure una pioggerella fine. Quando si dice la fortuna.
Non c’è neppure traffico. E’ una congiura!
Arrivo sotto casa tua puntuale per la prima volta in vita mia.

“Sei arrivata finalmente. Credevo che avrei mangiato da sola”.
“buona sera anche a te mamma”.
“Ho cucinato leggero. So che sei a dieta”
“Ah sì? E da quando?”
“Comunque non sono riuscita a far la spesa, se ti va mangiamo quello che è avanzato oggi”.

Vorrei controbattere solo per il gusto di farlo. Ma non stasera. Questa sera è la più importante. Lo è per me.

La cena è deliziosa. Mi accorgo che non possono essere avanzi.
Intuisco che sei nervosa. Muovi le mani continuamente. Gesticoli. Parli in modo frenetico … non starà arrivando l’infarto per davvero?

Forse è meglio che mi venga in mente un impegno improvviso. Improrogabile. Inaspettato. Potrei sentirmi male io per colpa dei finti avanzi.

“…Vuoi il caffè?”
Tutt’a un tratto sei dolce. La tua voce è tornata della tonalità giusta. Forse hai intuito la mia paura. La mia voglia di scappare ancora.

“Sì, grazie mamma”.
E’ davvero bello poter dire ancora mamma. Non l’ho detto per molto tempo. Per tutto il tempo che i nostri litigi ci facevano male. Per tutto il tempo che vederci bruciava e feriva.

Ora sei seduta davanti a me, a separaci solo due tazzine di caffè. Fingo di mescolare lo zucchero che ancora non ho messo. Faccio fatica a guardarti negli occhi.

“Come stai? Ti vedo felice”.

“Lo sono” sussurro.

Ora i nostri occhi si incrociano. Quegli occhi neri così parchi di conforto, forse perché troppo intensi, che avrebbero finito per annientarmi.

“Raccontami …lo conosco?”
“Nnno, non Lo conosci”

“Ah, La conosco?”
????????
Ora sono io a guardarti. Possibile che tu abbia detto quello che ho sentito?”
Forse è stato un lapsus, forse pensavi a qualcos’altro e ti è uscita quella frase, forse…

“Allora. Dimmi se la conosco”.
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

“…nnno… non la conosci. Vive a Venezia”

“E quando me la farai conoscere? Tuo fratello mi ha portato Ilaria a casa la settimana dopo che l’aveva incontrata” .

Non riesco a dire altro se non “Presto mamma. Presto”.

Questa volta le parole non fanno male. Sono piene di commozione. Per una volta non cerco di trattenere le lacrime. Le lascio scendere. Scorrono. Rigano il viso. Sono lacrime dolci. Non hanno nulla delle lacrime che ingoiavo la notte, trattenendo i singhiozzi, quasi a soffocare.

Anche mia mamma piange, però le sue lacrime sono accompagnate da un sorriso, un abbraccio forte, e da un …
“che stupida …”

Ti voglio bene anch’io, mamma! *******************************************************

3° classificato Narrativa – La gente del delta

Questo non è il solito racconto con un inizio, uno svolgimento e una fine. Questo è un racconto diverso, perché ha per protagonisti le emozioni, le sensazioni, le impressioni, le nostalgie, le simpatie, gli affetti, i sentimenti che nascono e crescono dentro di me, a mano a mano che vado avanti verso la meta prefissata. Un racconto che parla dei battiti del cuore che avverto una volta arrivato, una volta che questo posto ha saputo catturarmi l’anima. un racconto diverso, perché Lagosanto è diversa. Per arrivarci esco da Ferrara e, seguendo il corso del Po, mi dirigo a est in direzione del suo delta e della sua gente. La gente del delta. Lo faccio attraversando un territorio che è una spianata apparentemente senza fine e dal cielo così basso che davvero ti fa credere non sia impossibile poterlo toccare. Sembra di essere in una pianura del midwest statunitense. Un’America padana. Quel genio di Visconti lo aveva avvertito anche lui e proprio qui aveva ambientato Ossessione, perché solo qui si poteva riprodurre la location del libro americano dal quale era tratto il suo film. Evito le strade principali, preferisco arrivare alla meta del mio viaggio attraversando strade secondarie, certo più scomode e lente, ma che mi permettono di osservare il panorama circostante. La mia vista spazia su campi coltivati, filari di piante che tagliano la linea dell’orizzonte, case contadine che non sono semplici abitazioni, ma scrigni dove si conserva un modo di vivere apparentemente eterno e immutabile. Me ne vado così offrendo il mio animo al vento che soffia da est. Lo faccio seguendo il vecchio fiume ormai prossimo alla fine del suo percorso, eppure già pronto a ripartire per qui eternamente tornare. E infine eccola Lagosanto, con tutto il piacere della sua diversità. Siamo in Emilia, certo, ma queste non è l’Emilia che incontri andando dopo Bologna verso ovest, terra di imprenditoria, di motori, di attivismo. Qui, come direbbe Battiato, impari che si può vivere a un’altra velocità. Lagosanto è terra di storie che non sai mai quanto siano vere o prodotto di fervide fantasie. Ti raccontano di fuorilegge e avventurieri, di gente di mare e di terra, di rivalità di campanile. E tu le respiri quelle storie, ne assapori il nostalgico fascino che ha stipato anche il più piccolo angolo di questo paese. Cammino così senza una meta precisa, aggirandomi tra casette dignitose nella loro semplicità e le cui architetture mi avvertono che sono davvero pochi i chilometri che restano per arrivare all’antico regno della Serenissima, Una brezza lieve mi accarezza e il sole caldo, filtrando tra le nubi, irradia una luce piacevole. Un’anziana signora mi ferma sull’uscio di casa sua, ci scambiamo un saluto e vengo invitato a farle compagnia in casa, “perché sono tanto sola” mi dice con sincera semplicità. Seppur a malincuore sono costretto a dirle di no e proseguo nel mio cammino per arrivare all’appuntamento. E qui incontro altra gente e, nel tempo di una sia pure breve frequentazione, capisco di trovarmi davanti a persone di cultura, animi gentili, artisti dal talento insospettabile. Lagosanto mi sta insegnando che non devo credermi né infinitamente piccolo di fronte alla bellezza del paesaggio, né superbamente superiore nel mio animo. Nessuna di queste fuorvianti romanticherie, devo solo ascoltare la mia anima e allora le emozioni arriveranno da sole. Emozioni che non sarò io a comandarle, perché saranno loro a decidere come e in che modo venire. E capisco che quando avrò lasciato Lagosanto e la sua gente, quando avrò abbandonato la sua peculiare diversità, la mia anima si sentirà vuota. Per questo vi sto raccontando questa storia, per arginare quel vuoto riempiendolo di quanto visto e imparato in questo luogo, dalla sua gente. La gente del delta. Un’esperienza diversa e indimenticabile che nessuno mi potrà mai rubare. ******************************************************

1° classificato Poesia – Il mondo nuovo

Domani noi usciremo dal folle girotondo
cercando, caro amore, un altro nuovo mondo
dove non c’è un problema se c’è diversità
ma invece c’è per tutti un po’ di umanità…
Laggiù non è importante se adori un altro Dio
e se il tuo bel colore non è simile al mio,
nessuno farà caso se parli in modo strano
se vesti un’altra moda o se non sei un ariano,
se mangi certi cibi, se segui certe usanze
se quando sei felice tu balli strane danze,
ma conta solamente se sei gentile e onesto
perchè nessuno bada a tutto quanto il resto.
Laggiù non c’è violenza, nemmeno un episodio:
Nel mondo tollerante non trova spazio l’odio…
Perciò domani all’alba noi lasceremo il porto,
salpando da una terra dove l’amore è morto. *******************************************************

2° classificato Poesia – Auschwitz-Birkenau

Arranchiamo dilaniati;
ogni anima è ferita.
Sulle spalle, come un masso
il peso della vita. *******************************************************

3° classificato Poesia – Amore a distanza

Un usignolo
Sul ciglio del terrazzo
Canta per me e il mare
Irraggiungibile
Oltre gli alberi
E oltre il tuo sorriso. *******************************************************

Risultati di tutte le edizioni del concorso:
Concorso Nazionale Laghese di Narrativa e Poesia "Stagioni di versi e racconti: l'estate" XXVI Edizione
Concorso Nazionale Laghese di Narrativa e Poesia "Le piccole cose che ci fanno stare bene. Riconoscerle e raccontarle" XXV Edizione
Concorso Nazionale Laghese di Narrativa e Poesia "La Natura è madre. Parole e pensieri per l'ambiente" XXIV Edizione
Concorso Nazionale Laghese di Narrativa e Poesia "Sogni per il mio domani" XXIII Edizione
Concorso Laghese di Narrativa e Poesia "Vite in Viaggio. Riflessioni, racconti, versi sul personale senso del viaggiare" XXII Edizione
Concorso Laghese di Narrativa e Poesia "Il mio Paese. Ieri, oggi e domani" XXI Edizione
Concorso Laghese di Narrativa e Poesia "Racconti diVersi" XX Edizione
Concorso Laghese di Narrativa e Poesia "La Famiglia" XIX Edizione
Concorso Laghese di Narrativa e Poesia 2016 XVIII Edizione
Concorso Laghese di Narrativa e Poesia XVII Edizione
Concorso Laghese di Narrativa e Poesia  XVI Edizione
Concorso Laghese di Narrativa e Poesia 2013 XV Edizione. Tema del concorso: Nel mondo dei sentimenti: il Dono.
Concorso Laghese di Narrativa e Poesia "Nel mondo dei sentimenti: L'amore" XIV Edizione
Concorso Laghese di Narrativa e Poesia 2011 XIII Edizione
Concorso laghese di narrativa e poesia XI Edizione
 
 
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